pubblicato a dicembre 2024

prossima pubblicazione 2025

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La nascita e l'evoluzione del linguaggio

Oggi, al mondo, esistono oltre 7000 lingue, 2300 delle quali solo in Asia. Tra dialetti e lingue ufficiali, non è facile dare una definizione precisa di quali lingue siano parlate o meno.

Ma quale è l'origine di tutte queste lingue?

L’origine del linguaggio umano è un argomento che ha attratto una considerevole attenzione nel corso della storia dell’uomo. A differenza della scrittura, l’oralità non lascia tracce evidenti della sua natura o della sua stessa esistenza, perciò, i linguisti devono ricorrere a metodi indiretti per decifrare le sue origini. Le lingue umane potrebbero essere emerse con la transizione al comportamento umano moderno, circa 164 000 anni fa (Paleolitico superiore).

Una supposizione comune è che il comportamento umano moderno e l’emergere della lingua siano coincisi e fossero dipendenti l’uno dall’altro, mentre altri spostano indietro nel tempo lo sviluppo della lingua a circa 200 000 anni fa, al momento in cui apparvero le prime forme di “Homo sapiens arcaico” (Paleolitico medio), oppure addirittura al Paleolitico inferiore, a circa 500 000 anni fa. Tale questione dipende dal punto di vista sulle abilità comunicative dell’Homo Neanderthalis. In tutti i casi, è necessario presumere un lungo stadio di pre-lingua, tra le forme di comunicazione dei primati superiori e la lingua umana completamente sviluppata.

Dai gesti ai suoni

La teoria più accreditata è che il linguaggio umano si sia sviluppato dai gesti che venivano usati per la semplice comunicazione, e la transizione alla modalità vocale sia stata dettata dalla necessità di comunicare mentre le mani erano impegnate con strumenti, sempre più numerosi, o per attirare l’attenzione di compagni fuori dalla porata visiva.

La questione è talmente complessa che nel 1866 la “Società Linguistica” di Parigi decretò clamorosamente la conclusione delle ricerche in materia, ritenendo il problema del tutto insolubile. Gli studi sull’argomento sono ricominciati, poi, a partire dalla metà del secolo scorso. In settant’anni sono stati fatti molti progressi, ma il dilemma è lungi dall’essere risolto.

Sulla rivista Science Advance è stato posto in evidenza che una laringe bassa, che si ritiene indispensabile per la nascita del linguaggio, non solo non sarebbe caratteristica propria solo dell’uomo, ma non sarebbe neanche necessaria per produrre i suoni vocalici del linguaggio. I ricercatori sono giunti a queste conclusioni sulla base di studi che hanno messo in rapporto tra loro il comportamento dei primati, le vocalizzazioni e la comunicazione, e la creazione di modelli acustici. Sulla base di questa scoperta gli studiosi hanno potuto datare la nascita del linguaggio non a 500 000 anni fa, bensì ad oltre 20 miglioni di anni fa.

L’evoluzione delle tecniche di caccia dell’uomo primitivo, si pensi solo ai manufatti litici, in particolare alla lavorazione intenzionale della selce, comportava anche un più alto grado di complessità per quanto riguarda la comunicazione. Tuttavia, il linguaggio primitivo non costituiva una vera e propria lingua, piuttosto rappresentava una evoluzione, sia pure ancora rudimentale, delle prime forme di comunicazione tra i primati. Le prime parole in realtà erano fonemi, comunque dotate di significato, quindi probabilmente risultavano costituite da uno o due suoni, non di più.

Analisi morfologiche

Le analisi morfologiche delle parti dell’apparato vocale che fossilizzano, quali il cranio o l’osso ioide (un osso fissato alla cartilagine della laringe a cui sono ancorati i muscoli necessari all’articolazione del linguaggio), forniscono indizi importanti, seppur indiretti, sulle capacità del tratto vocale e sulla posizione della laringe dei nostri antenati. Sulla base di indizi di questo tipo Philip Lieberman sostiene che i cambiamenti che hanno dato luogo al tratto vocale umano hanno trovato piena realizzazione solo con l’Homo sapiens (neppure i Neanderthal li possedevano in questa forma). La base cranica di un esemplare di Neanderthal era più simile a quella di uno scimpanzé o di un neonato umano moderno, che a quella di un essere umano adulto moderno.

Essi conclusero, pertanto, che la laringe del Neanderthal si trova in una posizione simile, più in alto nella gola, e che per tale ragione, questo ominide possedeva capacità fonetiche assai limitate (poiché dotato di una cavità orale molto piu lunga rispetto a quella degli umani moderni e una faringe più corta: la laringe era in posizione troppo vicino alla base del cranio).
Sebbene nel tempo tale visione sia stata messa in discussione, secondo Corbalis, ci sono stati vari motivi importanti, per cui è stato assolutamente necessario il passaggio dal linguaggio gestuale al linguaggio vocale.

La necessità del linguaggio

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Innanzitutto, i suoni raggiungono aree inacessibili alla vista. Con la voce è, infatti, possibile rivolgersi anche a persone che non ci vedono, mentre le lingue gestuali necessitano del contatto visivo. Questo, naturalmente, ha l’importante vantaggio di rendere possibile la comunicazione al buio (specie in periodi in cui non esisteva l’illuminazione artificiale). La parola, rispetto al gesto, permette inoltre, di attirare facilmente l’attenzione degli altri.

È possibile che all’inizio dell’evoluzione del linguaggio i suoni abbiano giocato un ruolo sussidiario e, prevalentemente, legato al richiamo dell’attenzione, per poi assumere gradualmente una maggiore importanza nella trasmissione del messaggio stesso. In fine, come già accennato prima, il linguaggio vocale potrebbe essersi affermato per liberare le mani da altre attività, come per esempio la costruzione e l’uso di manufatti: le persone possono parlare, costruire e usare strumenti allo stesso tempo, mentre gesticolare e contemporaneamente produrre utensili appare più difficoltoso.

La scoperta del linguaggio vocale può, così, aver generato un rapido sviluppo tecnologico: tecnologie sempre più complesse poterono essere descritte, spiegate e trasmesse da una generazione all’altra.

Monogenesi

La teoria dell’origine monogenetica è l’ipotesi per cui ci sarebbe stata una singola protolingua (la “lingua primigenia” o “protolingua mondiale“) dalla quale si sarebbero poi distinte tutte le lingue parlate dagli esseri umani.

L’ipotesi dell’origine poligenetica comporterebbe, invece, che le lingue moderne si siano evolute indipendentemente su tutti i continenti, un’ipotesi considerata non plausibile dai sostenitori della monogenesi. Vediamo perché?

Tutti gli esseri umani, oggi, discendono da una Eva mitocondriale, una donna che si ritiene vivesse in Africa circa 150 000 anni fa. Ciò a sollevato la possibilità che la lingua primigenia possa essere datata approssimativamente a quel periodo. Ma bisogna tenere in considerazione, anche, la “Teoria della catastrofe di Toba“, la quale sostiene che tra 75 000 e 70 000 anni fa l’esplosione di un supervulcano al di sotto del lago Toba, probabilmente il più grande evento erruttivo negli ultimi 25 milioni di anni, rese ancora più rigido il clima del pianeta, che già stava attraversando una glaciazione, e quindi la popolazione si sia ridotta a circa 1500 o 2000 individui.
Il lago Toba è un lago vulcanico di 100 km di lunghezza e 30 km di larghezza, situato nella parte settentrionale dell’isola Sumatra, in Indonesia.
Se ciò avvenne realmente, un tale effetto sarebbe un candidato eccellente per il momento della protolingua mondiale.

Oggi, sulla base di documenti storici scritti, in varie forme e tramandati fino a noi, gli storici e i linguisti sono generalmente concordi nell’affermare che il sumero, l’accadico e l’egizio sono le lingue più antiche. Tutte tre sono, oggi, lingue estinte, cioè non sono più usate e non hanno discendenti viventi in grado di portare la lingua alla generazione successiva.

Lingue estinte

Una lingua estinta o una lingua conclusa è una lingua che non ha più locatori nativi. Normalmente ciò avviene quando una lingua è soggetta ad estinzione linguistica e viene direttamente sostituita con una lingua diversa, ad esempio “il copto“, sostituito dall’arabo e molte lingue native americane, sostituite dall’inglese, francese, spagnolo e portoghese.

Il termine “lingua morta” si riferisce comunemente anche ad una lingua più antica che è cambiata significativamente e si è evoluta in un nuovo, autonomo gruppo linguistico, di cui risulti ormai completato il processo di separazione linguistico. Il latino, ad esempio, è una lingua morta non avendo locatori nativi, ma è la base del latino volgare, il quale evolse nelle moderne lingue romane.

In alcuni casi una lingua estinta rimane in uso per funzioni scientifiche, legali o ecclesiastiche. Il latino, l’antico slavo ecclesiastico, il copto sono fra le tante lingue estinte usate come lingue sacre o, in qualche caso, oggetto tradizionale di insegnamento. La lingua latina, ad esempio sebbene formalmente estinta in quanto non esistono più locatori di madrelingua, è stata riclassificata lingua storica: viene insegnata in vari Paesi ed è una delle lingue ufficiali della Città del Vaticano.

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Le lingue dei segni

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Le lingue dei segni sono lingue che veicolano i propri significati attraverso un sistema codificato di segni delle mani, espressioni del viso e movimenti del corpo. Sono utilizzati dalle comunità dei segnanti a cui appartengono in maggioranza persono sorde.

È una forma di comunicazione che contiene aspetti verbali (i segni) e aspetti non verbali (le espressioni sovra-segmentali, per esempio), come tutte le lingue parlate e dei segni. Possono sembrare dei gesti banali, quasi improvisati, di espressività semantica limitata, ma sono, in realtà, precisi segni, compiuti con una o entrambe le mani e hanno un significato specifico, codificato e assodato, come avviene per le parole. A ognuno di essi è assegnato un significato o più significati. Le lingue dei segni sfruttano il canale visivo-gestuale, perciò il messaggio viene espresso con il corpo e percepito con la vista.

Nel 2017, l’ONU ha stabilito che, a partire dal 2018, il 23 settembre di ogni anno venga festeggiata la “Giornata internazionale delle lingue dei segni“.

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Le lingue più parlate al mondo

La lingua inglese

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La lingua inglese è una lingua germanica occidentale. Ha le sue origini dalle parlate dei gruppi dei germani che erano stanziati nell’attuale Germania settentrionale e in Danimarca. Queste lingue germaniche furono portate nella Britannia in tarda antichità, a seguito delle migrazioni di Angli, Sassoni, Juti e Frisi nell’isola, rimpiazzando le lingue celtiche ed eventualmente il latino.

Si sviluppò così in quattro dialetti dell’antico inglese, il merciano, il northumbriano, il kentiano ed il sassone occidentale. Quest’ultimo dialetto divenne la lingua dominante sotto Alfredo il Grande.

Influenze straniere

Durante la conquista vichinga, tra l’ottavo e il nonno secolo, la lingua norrena plasmò fortemente l’antico inglese, ed il dialetto merciano divenne più influente.

Dopo la conquista normanna del 1066 l’inglese fu influenzato dal francese, pioché il francese era la lingua di uso comune presso i ceti dominanti della società, così la lingua subì ulteriori modifiche lessicali.

Durante il rinascimento la lingua inglese prese in prestito, parole dal latino e dal greco e da altre lingue europee, e soprattuto subì un forte cambiamento di pronuncia.

Lingua universale

Dal Seicento la lingua inglese si espanse in tutti i cinque continenti, divenendo la lingua principale del Regno Unito, Repubblica d’Irlanda, Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda oltre ad altre ex colonie dell’Impero Britannico. Con l’avvento degli Stati Uniti al rango di superpotenza mondiale nel Novecento, la lingua inglese diviene lingua franca della globalizzazione.

Oggi, la lingua inglese è la lingua più parlata al mondo.

Il cinese mandarino

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Il cinese mandarino o cinese settentrionale, talvolta anche indicato come “lingua mandarino”, è una famiglia di parlate locali originarie del nord-est della Cina ed appartenente al più ampio ceppo delle lingue cinesi. Molte varietà di mandarino, come quelle del sud-ovest e del Basso Yangtze, sono in parte o del tutto mutualmente inintelligibili con la lingua standard. Tuttavia, il mandarino è spesso posizionato al primo posto negli elenchi di lingue per numero di madrelingua (con quasi un miliardo).

Al 2022 il cinese mandarino (che include il cinese moderno standard) è parlato da circa 1,1 miliardi di parlanti totali ed è la seconda lingua più parlata al mondo.

Il mandarino è di gran lunga il più grande dei sette o dieci gruppi dialettali cinesi, parlato dal 70% o più di tutti i parlanti cinesi su una vasta aerea geografica, che si estende dallo Yunnan nel sud-ovest al Xinjiang nel nord-ovest e Heilongjiang nel nord-est. Ciò è generalmente attribuito alla maggiore facilità di viaggio e comunicazione nella pianura della Cina settentrionale rispetto al sud più montuoso, combinata con la diffusione relativamente recente del mandarino nelle aree di frontiera.

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