pubblicato a dicembre 2024
prossima pubblicazione 2025
mitologia
Storie maledette
Le richieste di maledizioni alla dea Sulis Minerva
Nell’antica Grecia e nell’antica Roma si veneravano potenti divinità, associati a poteri diversi. Nella Britannia fra il I ed il V secolo d.C., Sulis fu un’antica dea celtica della giustizia, adorata presso la fonte termale di Aquae Sulis, odierna Bath, allora importante centro abitato dell’Inghilterra e centro della vita romana. La dea era adorata dai Romano-Britannici come Sulis Minerva (Sulis, divinità celtica identificata con la dea romana Minerva) e si credeva che avesse il potere di curare le malattie e di benedire e proteggere i devoti.
Il nome “Sulis” è identificato con le Suleviae, un gruppo di dee celtiche, note come destinatarie di iscrizioni votive nella città di Roma e altrove.
Sulis, come detto prima, era la dea locale delle fonti termali che ancora oggi alimentano i bagni di Bath, che gli antichi Romani chiamavano Aquae Sulis (“acque di Sulis”). Il suo nome appare nelle iscrizioni di Bath, e da nessun altra parte. Questa cosa non deve stupire, dato che le divinità celtiche spesso conservavano il loro luogo di origine. Restavano legate ad un determinato luogo, spesso un crepaccio, una fonte, un lago o un pozzo.
Dai suoi oggetti votivi si è capito che era considerata la Grande Madre, donatrice di vita, ma anche fonte di maledizioni.
Il tribunale degli dei
Per molti, Aquae Sulis era anche un tribunale degli dei, dove ogni individuo poteva invocare la punizione divina ai danni di chi li aveva fatto un torto. I romani vi si recavano per esigere vendetta. Il modo migliore per ottenere giustizia consisteva nell’incidere la propria richiesta su una tavoletta di piombo, implorando la dea Sulis Minerva di agire contro quella persona, di dannarla, di farle del male.
“Io Arminia, mi rivolgo a te Sulis, chiedendoti di uccidere Vere Condinus, figlio di Tarentus, che mi ha rubato due monete di argento. Non permetterli di sedere o giacere e di camminare e dormire o restare in salute. Uccidilo quanto prima, affinché quanto accaduto non si ripeta“.
Le tavolette tendevano ad attenersi ad una specifica formula. Contenevano il nome della persona accusata, la divinità alla quale era rivolta la preghiera, e la punizione che si desiderava. Incidendo la loro denuncia su scure tavolette, i devoti le inoltravano, lanciandole nelle profondità delle sorgenti. Sono state rinvenute circa 1500 di queste tavolette, in tutto il territorio dell’ex impero romano. Tali richieste venivano incise su tavolette di pietra o terracotta, ma il più delle volte erano di piombo.
Il ruolo degli Scrivani
Non erano pene che sarebbero state portate in un tribunale, erano forme cruente e macabre di castigo. Ad alcune tavolette erano allegate delle statuette o altri oggetti, probabilmente raffigurazioni della persona accusata. A quei tempi molti non sapevano ne leggere, ne scrivere e quindi avevano bisogno di rivolgersi ad uno scrivano. Gli scrivani erano considerati quasi dei maghi, perché avevano il potere di scrivere e quindi erano in grado di creare una maledizione rendendola cosi efficace.
I messaggi erano scritti su tavolette che venivano piegate o arrotolate, per poi essere trapassate con un chiodo, come per affliggere la maledizione alla vittima designata.
Erano molte le possibili ragioni pe maledire qualcuno
Le tavolette erano anche, spesso, usate per aggiungere probabilità di successo nelle scommesse su vari eventi sportivi: “…Ti ordino di tormentare e uccidere i cavalli delle squadre verde e bianca…“. Dalle beghe amorose alle faide legali, dalle scommesse sportive agli scandali, erano molte le possibili ragioni per maledire qualcuno.
Potremo trovare eccessivo che si invocassero gli dei per punire qualcuno che aveva rubato una tunica, ma chi scriveva queste preghiere non aveva accesso ad un vero e proprio sistema legale. Non poteva permettersi un avvocato, perciò la maledizione era l’alternativa migliore. Con lo sdegno nel cuore e una tavoletta tra le mani, i cittadini del mondo greco-romano incidevano un sinistro messaggio, indirizzato ad una vittima indegna di fiducia o forse semplicemente sfortunata.
La contro-maledizione di Sencianus
Alcuni cittadini erano talmente terrorizzati da queste maledizioni che si diedero alla creazione delle loro contro-maledizioni. Una di queste contro-maledizioni viene scoperta nell’Inghilterra del 1785. Arando la terra, un contadino trova un anello d’oro decorato con una preghiera: “Sencianus che tu possa vivere in Dio“. Per oltre un secolo nessuno riesce capire che cosa significhi, ne chi fosse Sencianus. Circa un secolo dopo viene trovata una tavoletta con incisa una maledizione in cui viene citato l’anello. La tavoletta evoca un dio ed esige la punizione di un uomo chiamato Sencianus. Gli studiosi ipotizzano che Sencianus fosse il ladro dell’anello e che vi avesse inciso quelle parole allo scopo di proteggersi.
Ma che cosa accadeva ai ladri come Sencianus e agli altri criminali maledetti dell’antichità?
Le potenti divinità acconsentivano a mettere in atto le punizioni descritte sulle tavolette, portando sventura ai condannati? Non lo sapremo mai. Ma, allora mi chiedo perché sarebbe stato necessario creare delle contro-maledizioni?
Quando il cristianesimo prese il sopravvento, la pratica delle tavolette contenenti le maledizioni prese gradualmente a scomparire. I cittadini dell’impero romano iniziarono ad affidarsi al padre celeste.
Gli oracoli
L’oracolo è un essere o un ente considerato fonte di saggi consigli e di profezie, un’autorità infallibile, solitamente di natura spirituale. Lo stesso termine può riferirsi anche a una predizione del futuro dispensata dagli dei attraverso oggetti o forme di vita, ma anche grazie a delle sacerdotesse che, cadute in estasi, assumevano il dio nel proprio corpo.
In genere, anche se gli oracoli venivano pronunciati in nome degli dei, il loro contenuto era decretato dal Fato, personificato dalle Moire, potenze ancestrali con il potere di creare a recidere la vita, a cui persino gli dei dovevano sottostare.
Gli oracoli facevano parte della vita quotidiana dell’antica Grecia e Roma. Per più di mille anni la gente si recò dagli oracoli a consultare il volere degli dei. Nell’antica Grecia gli oracoli più celebri erano “L’oracolo di Zeus a Dodona” e “L’oracolo di Apollo a Delfi“.
Nei miti greci si fa riferimento a molte profezie. Dei e mortali erano sempre interessati a conoscere il futuro. Quando un oracolo prevedeva una disgrazia, gli dei, come gli umani, si comportavano in modo da evitare il compiersi della profezia. Ma gli oracoli erano quasi infallibili e coloro che cercavano di cambiare il proprio destino spesso ne rimanevano comunque vittime.
Edipo ed i suoi genitori, ad esempio, agirono in modo da impedire l’avverarsi dell’oracolo, ma proprio quelle azioni li condussero incontro al loro destino.
L'oracolo di Dodona
Il mito racconta che l’oracolo di Dodona ebbe origine quando due piccioni neri lasciarono la città egizia di Tebe, dove già esisteva un tempio dedicato a Zeus. Uno dei due volò a Ammon, in Libia, e l’altro a Dodona. I due piccioni iniziarono a parlare il linguaggio degli uomini e ordinò al popolo di istituire un oracolo di Zeus in quei luoghi.
Secondo lo storico greco Erodoto, questa storia fa riferimento ad un episodio realmente accaduto. Due sacerdotesse del tempio di Zeus a Tebe furono rapite e vendute come schiave. Una fu portata ad Amon e l’altra a Dodona, dove poi vennero fondati gli oracoli. Nel mito le due sacerdotesse sono descritte come piccioni per via dei suoni della loro lingua, che ai greci risultò incomprensibile.
L'oracolo di Delfi
Il più importante oracolo del mondo greco era quello di Apollo a Delfi. È ancora possibile visitarlo, sul monte Parnaso si trovano i resti dell’ultimo di una serie di templi, distrutti dai terremoti e poi ricostruiti. Nel tempio è conservata una “pietra enorme”, chiamata Omphalos, l’ombelico del modo.
In base ad alcuni resoconti, fu lo stesso Apollo a fondare l’oracolo a Delfi. È collocato a 500 metri di altitudine, in linea d’aria, a 8 km dal Golfo di Corinto.
Il tempio più antico scavato dagli archeologi risale al VII secolo a.C., mentre il più recente (e le cui rovine sono visibili a Delfi) risale invece al IV secolo a.C.
L'organizzazione templare risultava articolata come segue
- I sacerdoti di Apollo erano due e venivano nominati a vita. Essi avevano cura del culto al dio e conservavano la sua statua.
- Seguivano gli hósioi in numero di cinque, nominati anch’essi a vita, controllavano il rispetto dei riti celebrati nel tempio.
- I prophétes assistevano invece la Pizia, che viveva nel santuario.
- Seguiva altro personale addetto ai sacrifici, alle pulizie, all’amministrazione.
La personalità più in vista era la Pizia, la profetessa, scelta tra le donne di Delfi, senza alcuna selezione in base all’età e nominata a vita. Potevano esservi più profetesse, fino a tre, la loro esistenza sacra era regolata dalla purezza rituale e dalla continenza, condizione esibita anche per mezzo di un preciso abbigliamento e per un’alimentazione regolata.
Nella mitologia greca, non di rado, gli dei apparivano direttamente ai mortali prescelti ed elargivano ordini o consigli, ma nella maggior parte dei casi si presentavano con le sembianze di uno straniero, di un conoscente, di un parente o di un amico. Nel mito greco il rispetto verso l’ospite era molto sentito e derivava dal timore che nello straniero si celasse un dio.
Nessuno poteva, quindi, essere certo che uno straniero di passaggio non fosse in realtà un dio venuto per mettere alla prova e per infliggere una dura punizione in caso di errore.
Il Portale delle curiosità di Cristina G.H.
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Il mito di Orione
Orione, figlio di Poseidone e Euriale, era un cacciatore bellissimo. Quando visitò l’isola di Chio, si innamorò di Merope, figlia di Enopione e nipote di Dionisio (Bacco) e di Arianna. Come molti altri sovrani dei miti greci, Enopione si sentì minacciato dall’arrivo di un eroe e pensò di ucciderlo affidandogli un’impresa pericolosa. Gli promise che gli avrebbe concesso la mano di sua figlia se avesse liberato l’isola dagli animali selvaggi che la infestavano.
Giorno dopo giorno Orione accatastava, nel palazzo, i corpi delle sue prede, ma Enopione continuava a dirgli che nelle grotte e tra le rocce si annidavano altre creature. Il re, infatti, non aveva alcuna intenzione di mantenere la sua promessa perché, per quanto ciò risulti mostruoso, ardeva di desiderio per sua fliglia. Una notte Orione, ubriaco, fini per violentare Merope. Il giono seguente Enopione finse di non sapere nulla dell’accaduto, ma chiamò suo padre Dionisio perché lo aiutasse a vendicarsi.
La vendetta di Enopione
Il dio Dionisio gli fornì del vino molto forte, con cui Enopione, continuò a riempire la coppa di Orione, finché il giovane non cadde a terra, completamente ubriaco e indifeso. Allora il re si gettò su di lui, gli cavo gli occhi e lo scaraventò fuori dal palazzo. Orione si ritrovò a brancolare nel buoio sulla spaiaggia di Chio, e chiese aiuto agli dei.
Allora gli fu inviata una profezia, secondo la quale avrebbe riacquistato la vista se avesse viaggiato verso oriente e fissato, con le orbite vuote, il sorgere del sole. Orione cercò a tastoni, una barca e, quando l’ebbe trovata, vi salì e iniziò a remare, attraversando il Mediterraneo diretto a est, fino al punto in cui Eos, la dea dalle dita di rosa, preparava il cielo notturno all’arrivo del carro del sole.
Così Orione potè vedere di nuovo e la dea si innamorò di lui. Orione rimase per qualche tempo con Eos, poi il desiderio di vendetta lo spinse a fare ritorno a Chio. Enopione, però, era scomparso (in realtà si nascondeva sotto terra, in una stanza segreta) e Orione continuò a viaggiare alla ricerca del re, deciso di scovarlo.
La vendetta di Apollo
Nel frattempo Apollo meditava a sua volta vendetta contro Orione, perché aveva consumato la sua relazione amorosa con Eos, sul’isola a lui sacra, Delo. Ma la violazione della sacralità dell’isola non era l’unico motivo dell’ostilità di Apollo. Infatti, aveva saputo che Orione si era unito al seguito di cacciatrici della sorella Artemide (Diana), da cui fino a quel momento gli uomini erano stati banditi, perciò temeva che Artemide potesse infrangere il voto di castità e prendere quel mortale come marito.
Inoltre, Apollo detestava le vanterie di Orione che, si dichiarava capace di liberare il mondo intero dalle bestie feroci. Eguagliarsi agli dei è sempre un gravissimo errore da parte degli uomini. Apollo si recò da Gaia, la dea della Terra e la informò che Orione aveva minaciato di sterminare tutta la fauna del mondo. Così la dea inviò subito uno scorpione a uccidere il cacciatore, prima che potesse nuocere alle creature.
Orione non riusci ad uccidere lo scorpione, e per sfuggirli si tuffò in mare. A quel punto Apollo pregò la sorella Artemide di colpire l’uomo che stava nuotando, dicendole che si trattava di uno sciagurato che aveva appena tentato di sedurre una delle sue ninfe. Artemide, che non riuscì a distinguere l’identità dell’uomo, scagliò una freccia che gli trapassò il cranio. Fu troppo tardi quando Artemide capì l’inganno del fratello e che aveva appena ucciso l’amato compagno di caccia, così chiese ad Asclepio (Esculapio) di riportarlo in vita. Fu allora che Zeus fulminò Asclepio per impedirgli di sottrare alla Morte le sue prede.
La Costellazione di Orione
Curiosità mitologiche
I Giochi Olimpici
Nell’antichità, si riteneva che Eracle (Ercole) fosse il fondatore dei “Giochi Olimpici“, nella città di Olimpia. In precedenza ad Olimpia si svolgeva una festa in onore di Zeus (Giove). Eracle (Ercole) vi organizzò delle gare atletiche durante le quali tutte le città della Grecia si impeganavano a rispettare una tregua.
Come i Giochi Olimpici moderni, le gare si svolgevano ogni quattro anni. I giochi arrivarono a comprendere la corsa a piedi, la corsa sui carri, la lotta, il pugilato ed il pentathlon (gara articolata in prove di corsa, salto, lancio del disco, lancio del giavellotto e lotta). Ercole prese parte ai primi giochi olimpici e vinse tutte le gare.
La sepoltura nell'antica Grecia
Nell’antica Grecia si dava molta importanza ai riti funebri. Il defunto, cremato o sepolto, doveva sempre avere una moneta in bocca, che gli sarebbe servita come obolo (unità di peso e monetaria nell’antica Grecia) per il traghettatore Caronte, nella traversata del fiume Stige (Lete), verso l’oltretomba. Chi non veniva sepolto in maniera appropriata o non aveva con sé la moneta era destinato a vagare per l’eternità lungo la riva dello Stige (Lete) e tornava a perseguitare i vivi. Analogamente, chi moriva annegato, senza che il corpo venisse mai ritrovato, restava sulla riva dello Stige (Lete) ridotto ad un fantasma senza pace.
Tuttavia, il destino di coloro che ricevevano una degna cerimonia funebre non era tanto più roseo, dal momento che divenivano ombre grigie e tristi nel regno di Ade, ma al meno si trattava del luogo a loro destinato.
Le 7 meraviglie del mondo antico
Le sette meraviglie del mondo antico sono le strutture e opere architettoniche artistiche e storiche che i greci e i romani ritennero i più belli e straordinari artifici dell’intera umanità. Vengono anche chiamate “Le sette meraviglie classiche” oppure “Le sette meraviglie antiche” per distinguerle dalle “Le sette meraviglie moderne“, proposti in tempi recenti.
Anche se erano stati compilati altri elenchi più antichi, la lista canonica deve risalire al III secolo a.C. Infatti, come termine post quem, comprende il Faro di Alessandria costruito tra il 300 a.C. e il 280 a.C., mentre come termine ante quem, comprende il Colosso di Rodi, crollato per un terremoto nel 226 a.C.
Tutte costruite più di 2000 anni fa, furono contemporaneamente visibili solo nel periodo fra il 250 a.C. e il 226 a.C., poiché successivamente andarono via via distrutte per cause diverse.
Solo l’imponente Piramide di Cheope, la più antica di tutte, sopravvive ancora oggi. Esse erano situate in Egitto (la “Piramide di Cheope” e il “Faro di Alessandria”), in Grecia (la “Statua di Zeus” a Olimpia e il “Colosso a Rhodi”), nell’Asia Minore (il “Tempio di Artemide” ad Efeso ed il “Mausoleo di Alicarnasso”) e in Mesopotamia (nell’attuale Baghdad, in Iraq i “Giardini pensili della Babilonia”). Tutte quante erano compresi nei territori conquistati da Alessandro Magno.